Saturday, November 25, 2006

Il 'Libro della Vita' riscritto

Nel 1953, qui a Cambridge, James Watson e Francis Crick riuscirono finalmente a rivelare la struttura del materiale genetico presente nel nucleo delle nostre cellule, il DNA, ed identificarono il modo attraverso cui questo codifica i nostri tratti genetici e li trasmette a generazioni successive. La struttura a doppia elica del DNA (la famosa scala a chiocciola) ebbe successo immediato non solo in ambito scientifico, ma anche tra la gente comune, in qualche modo attratta dalla semplice eleganza delle sue forme. Il semplice concetto su cui si basa il funzionamento della più grande molecola organica esistente in natura è questo: gli ‘scalini’ della scala a chiocciola rappresentano le lettere con cui è scritto il codice genetico e si leggono a ‘triplette’, ovvero ogni tre scalini rappresentano una ‘parola’ che descrive un aminoacido. Le ‘parole’ del DNA sono raggruppate in frasi, i geni, che codificano per l’intera proteina. Quando il DNA viene ‘letto’, i tanti aminoacidi che vengono ‘pronunciati’ vanno a formare le proteine che rappresentano l’anima funzionale ed il corpo strutturale della materia vivente. Gli esseri viventi hanno un corredo di DNA doppio, ovvero due copie di tutto. Solo le cellule germinali, spermatozoi ed uova, hanno un corredo singolo. In questo modo, quando si uniscono, ristabiliscono il corredo doppio dell’individuo che generano. Per decenni questo modello, sorprendentemente preannunciato da Gregor Mendel nel 1866 nel suo Versuche über Pflanzenhybriden (Esperimenti sugli ibridi vegetali), ha dominato la ricerca scientifica ed animato la biologia molecolare. La variabilità dei tratti somatici, così come l’insorgere di malattie genetiche o la stessa evoluzione, sono stati spiegati in termini di mutazioni più o meno spontanee e più o meno piccole nelle singole lettere in grado di modificare la lettura delle parole, sostituendo un aminoacido con un altro e producendo una proteina piuttosto che un’altra. Un evento che si riteneva avere una frequenza di una mutazione ogni milione di divisioni cellulari. Nel 1980, gli scienziato cominciarono a considerare la possibilità di ottenere il ‘risultato finale’, la traduzione di tutto il libro della vita, ovvero il sequenziamento completo di tutto il DNA umano. Così nacque il Progetto Genoma, che vide impegnate schiere di ricercatori in tutto il mondo. Ma le università, Cambridge in testa con il Nobel (2 volte) Fred Sanger, non erano le sole a tentare questa impresa, descritta da Watson come ‘più ambiziosa di quella di Kennedy di portare l’uomo sulla luna’. Anche una company privata americana, la Celera Genomics di Craig Venter, si mise all’opera e nel 1999 riuscì, in barba agli accademici, a portare a termine l’impresa mastodontica, tra gli sguardi preoccupati di chi paventava possibili operazioni di copyright commerciale su qualcosa che hanno tutti. Questa questione accese gli animi non poco. John Sulston, che subentrò a Sanger alla guida del Progetto Genoma britannico e che elenca i propri hobbies come ‘giardinaggio’ ed ‘evitare la gente’, più volte si scagliò contro la Celera, sostenendo che volessero monopolizzare la sequenza umana. Quello che entrambi non sapevano è che questo ambìto ‘Libro della Vita’ sarebbe stato riscritto da li a poco. È di questi giorni infatti la notizia di una pubblicazione, avvenuta su tre giornali scientifici contemporaneamente da parte di ricercatori inglesi (ancora Cambridge) ed americani (Houston per lo più) provenienti da 13 diversi centri, in cui il modello previsto da Watson e Crick viene profondamente modificato. Non più due copie di ogni gene, ma molte copie di geni ‘chiave’ affollerebbero i nostri cromosomi, e sarebbero i principali responsabili della variabilità e della predisposizione all’insorgenza di malattie genetiche. La nuova variabile è il numero di copie di questi geni chiave, comuni a tutti gli individui. Questo non solo abbassa la nostra similitudine con gli scimpanzé dal 99.9% al 96% ‘solamente’, ma riduce l’identità di sequenza tra DNA di individui diversi dal 99.9% al 99%. In altre parole, se avere 10 copie del gene chiave X è la condizione normale, X+1, X-1 o peggio, potrebbero rappresentare condizioni patologiche o in grado di apportare variazioni consistenti nel ‘fenotipo’ dell’individuo, ovvero il suo aspetto (nel caso più semplice da spiegare). Non sono solo le singole parole ad essere importanti, a rappresentare l’unità funzionale del codice genetico. Questo comprende anche paragrafi, capitoli e forse libri interi che agiscono come unità funzionali. Facile prevedere come l’identificazione e lo studio di questi ‘blocchi’ di DNA rappresenti il prossimo capitolo della storia.

1 comment:

Lesandro said...

M'hai dato del 'biologo molecolare' una volta...mi sono montato la testa!!! Colpa tua.