Monday, April 06, 2009

Nuvole di vita

Sembrava una serata normale quella di ieri sera. Torno a casa dal lavoro, cerco di dare una sistemata alla giungla di casa mia, ceno, sigaretta, poi una scorsa ai giornali. Non la noto nemmeno quella voce che scorre nella finestra delle notizie flash del sito del Corriere. "Scossa di terremoto in Abruzzo", ore 23:11. Ormai il sito del Corriere lo leggo quasi in trance, stanco del gossip politico, delle latest news sul grande fratello o delle foto di questa o quella modella, piuttosto che velina, piuttosto che ministro che si fa fotografare col vip di turno, se non direttamente in mutande. Chiudo tutto, una partita a Diablo II e poi vado sul mio nuovo ed odiato idolo, il feisbuc. Gironzolo un pò, poi chiamo Elena. Breve chat poi su skype, per parlare un pò. Parliamo a lungo, come sempre. E mentre parliamo lei si interrompe e dice "...oddio...". Sono da poco passate le due e mezza. Ora inglese ovviamente.
Ripiombo alla fine del secolo scorso e mi rimbomba nelle orecchie quello stordimento che ho provato mentre mi ritrovavo improvvisamente ed inconsciamente a dire di no con la testa per cercare di seguire con lo sguardo il monitor del computer su cui scrivevo la mia tesi di laurea. Oscillava spaventosamente per le scosse del sisma che colpì l'Umbria. Sono indeciso se chiamare i miei oppure no. A Roma la scossa è arrivata, ma non sembra esserci gente in strada, segno che non era forte e forse, nel sonno, molti non se ne sono accorti. E se chiamo casa mia alle quattro del mattino ed i miei dormono, rischio di farli spaventare più di quanto non farebbe il 'big one'.
Il sonno. Chissà quanti non hanno fatto in tempo a tentare una fuga salvatrice a causa del sonno. Chissà quanti avranno pensato ad un incubo trovandosi improvvisamente sotto le macerie, ed avranno provato a svegliarsi. Chissà quanti invece non si sono svegliati per niente. Verrebbe da augurarsi che tutti quelli che non sono sopravvissuti non se ne siano accorti per niente. Ma è ovvio che non è così. Magari anche adesso mentre scrivo qui, a 2000 km di distanza c'è qualcuno che vede la speranza affievolirsi nel macigno che gli blocca le gambe, nel buio che lo avvolge, nelle voci dei soccorritori che si fanno più lontane.
Oltre al dolore, allo spavento ed alla commozione per quello che è successo, si affaccia alla soglia della coscienza anche il senso d'impotenza. Il voler girare tra quelle macerie chiamando, urlando, cercando i superstiti per aiutare, per fare qualcosa. Qualsiasi cosa, fosse anche preparare il caffè ai vigili del fuoco. E di riflesso, la gratitudine e l'ammirazione. Proprio per quelle persone, vigili del fuoco, uomini della protezione civile, militari o anche solo semplici volontari, che fanno quello che vorresti saper e poter fare tu.
Sono tante le immagini che la mia mente ha rubato in queste ore dai vari telegiornali. C'è il cronista coglione che che si piazza in mezzo alla via per fare il suo servizio, bloccando ambulanze e mezzi di soccorso. C'è l'anchorwoman idiota che cerca di giustificarlo, invece di dirgli, giustappunto, "Coglione! Levati da mezzo alla strada!". C'è l'uomo inaridito che scaccia il reporter in malo modo indicando le macerie e dicendo "C'è mia figlia là sotto, lasciami in pace". C'è un tipo strano ed insignificante che vomita quanto mai inutili parole di assistenza per tutti, mentre in Irpinia c'è ancora chi vive dentro ai containers a distanza di decenni. C'è una donna anziana, semplice, di campagna, dolcissima, che mi fulmina davanti al monitor del computer dicendo "io non sono nè troppo vecchia nè troppo giovane, ma una cosa così non l'avevo mai vista!", costringendomi quasi ad un sorriso per quel vezzo di definirsi 'non troppo vecchia'. Ci sono le lacrime e la sofferenza, il dolore e lo sgomento di tutti. Gente che, nel migliore dei casi, è diventata povera nel giro di venti secondi, magari dopo aver vissuto una vita fatta di tanti anni, trascorsi senza mai nemmeno considerarla un'eventualità del genere. Venti secondi. Venti secondi per veder sparire i propri cari, i propri amici, perdio i propri figli anche! La propria casa.
Eppure, forse per un meccanismo di autodifesa, forse per la necessità di continuare, di guardare avanti, di cercare la normalità, di sperare, l'immagine che più di tutte mi ha colpito e più spesso mi ritorna in mente, è proprio quella di due soccorritori, che sono appena riusciti ad estrarre dalle macerie un superstite. Sono sfiniti, e nonostante tutto si sorridono e si abbracciano con vigore. Un militare ed un vigile del fuoco credo. E nell'abbracciarsi, nello stringere le proprie braccia l'uno intorno alle spalle dell'altro, sollevano in una nuvola, la polvere che ricopriva le proprie uniformi. Spiccioli di un muro, di un soffitto, di una casa che fu. Simbolo di tragedia e morte, trasformato da un abbraccio, in simbolo di fatica, solidarietà, sacrificio e vita.

Grazie a tutti voi.

3 comments:

fabio r. said...

io il terremoto l'ho subito un paio di volte abitando nella splendida, sismica Umbria, e ti posso assicurare che ogni volta è peggio.. non parliamo poi dello sciacallaggio tv (hai citato un paio di casi ma ce ne sarebbero 1000) che piomba sulla scena mentre i lavori di salvataggio sono ancora in corso... non ho parole.

silvio di giorgio said...

ieri c'era vespa che si aggirava tra le macerie: ha persino raccolto un peluche e lo ha mostrato in camera. ma come ha raggiunto l'abruzzo? non era stato ordinato a CHIUNQUE non fosse un soccorritore di non mettersi in viaggio per l'aquila in modo da non intralciare i soccorsi e nel caso di vespa di NON ROMPERE I COGLIONI E SCIACALLARE?

Lesandro said...

ieri c'era vespa che si aggirava tra le macerie sciacallando del più e del meno e il padreternaccio nostro manco un cornicione in testa gli ha fatto cadere.