Thursday, September 03, 2009

Pensieri in liberta'

Di Giusy Trimarchi

Insegno lettere e il mio problema è che ho la costante sensazione di dover studiare, studiare, studiare. Di non capire, nonostante tutto, a fondo le cose. Che mi sfugga qualcosa di lampante.
Bene, ciò che sta avvenendo in questi mesi nel mondo della scuola acuisce questo mio modo di sentire. Evidentemente è vero: non capisco qualcosa, qualcosa di lampante.

Vedo intorno a me questo mondo che così tanto amo andare in rovina. Le mura, in realtà, bene o male, resistono. Sono le persone a scricchiolare, a sgretolarsi sotto il peso delle ultime riforme. Nelle sale professori, nei corridoi dei nostri licei abbiamo fatto la conta dei posti persi. Si è discusso, quasi di straforo, delle prospettive di pensionamento dei colleghi più maturi. Chi prima, chi dopo. “Sì, è proprio una brava docente. Ma quando se ne va in pensione?”. “Che lascino il posto ai più giovani”. “Tanto di insegnare non gli va più, si vede benissimo.. e allora che aspetta?”.

Mi rendo improvvisamente conto dello spirito in cui il corpo docente italiano si viene ora a trovare. E allora ecco quella sensazione di non capire. Cosa? la contraddizione tra l’individualismo a cui ci costringe il sistema e lo spirito del nostro lavoro. Le energie perse a conquistare una cattedra. Troppe, mi sembra, visto che vengono tolte alla nostra attività, alla nostra freschezza, all’inventiva e all’abnegazione che ci occorre ogni volta per centrare un anno ben fatto. Per trovare la serenità nella dignità del nostro lavoro.

Ormai è chiaro che ci saranno via via sempre meno insegnanti e più alunni. Che servizio daremo loro? Cosa ne deriverà a livello didattico e professionale? Come rimediare alle classi scoperte, non avendo più noi le ore a disposizione per le supplenze interne? I ragazzi saranno più numerosi nelle aule, compressi in spazi angusti, stressati dal nostro stress che ci deriva dalla corsa ai voti e dai tempi ristretti.

Visto dall’esterno, però, l’anno scolastico si svolgerà regolarmente, come se nulla fosse cambiato: i ragazzi con gli zaini in spalla entreranno nelle scuole alle otto. I professori si avvicenderanno nelle aule. La ricreazione. Altre lezioni, poi tutti fuori, schiamazzando nei cortili. Ma dall’interno no, che non sarà lo stesso. Inevitabilmente la qualità del nostro lavoro verrà minata. Le nostre attenzioni si divideranno tra 28-30 alunni per volta. Spiegherò Dante, Petrarca, la quinta declinazione. Avrò modo di farli parlare, di farli pensare? Con la nuova normativa, più attenta a farci fare 18 ore frontali che a garantirci una qualsiasi progettualità nell’insegnamento-apprendimento, si perderà molto più facilmente la continuità didattica. Un anno un prof, l’anno dopo un altro, poi un altro ancora. E lo stesso si dica per noi: ricominciare ogni volta, proprio quando si iniziava a conoscere una classe, a tarare i nostri interventi sui veri bisogni di essa. E allora mi chiedo: servirà a qualcosa tutto questo? Insegneremo? Apprenderanno? Torno a non capire.. ma forse sono io.

Molti colleghi non di ruolo quest’anno forse non lavoreranno. Sono giovani, e già molto preparati. Hanno entusiasmo e spesso sono molto più bravi a comunicare con le nuove generazioni rispetto a chi è più grande d’età. Sono umili, vogliono imparare. Spesso chiedono consigli e talvolta, senza rendersene conto, costituiscono loro stessi un esempio anche per i più esperti. Si entusiasmano quando arrivano i libri dalle case editrici. Nelle sale professori fanno inizialmente amicizia tra di loro, ma poi cercano di instaurare legami anche con i docenti più strutturati.

Quest’anno nella mia classe di concorso hanno assegnato 93 incarichi a tempo determinato, contro i 400 e passa degli anni precedenti. Moltiplichiamo questi 300 posti persi per tutte le classi di concorso di tutte le scuole di ordine e grado della provincia, della regione. Del nostro Paese. Troveremo un numero enorme di persone che, abituate a contare su uno stipendio continuativo, si ritroveranno disoccupate e a dover sperare in supplenze nel corso dell’anno. Molti le prenderanno, ma le toglieranno a loro volta ai docenti non abilitati, l’ultimo anello della catena (naturalmente il più fragile, alla faccia di chi ci diceva che avrebbe tutelato le categorie deboli).

L’effetto a catena e il pericolo concreto di perdere il posto fanno sì che ogni fetta voglia conservare quel poco che ha. Dunque, niente spirito di corpo, almeno nei grandi numeri. I miei amici precari della scuola ieri erano in piazza; anzi, stavano proprio in mezzo a via Tuscolana, a protestare contro le assunzioni a tempo determinato fatte con un’approssimazione da terzo mondo. Poi apro i giornali e capisco che non se ne parla se non marginalmente (però si continua a spargere terrore con il virus taldeitali). Aleggia, dunque, l’idea che la protesta sia inutile. Ce la propongono, questa idea, la assorbiamo, è già nostra. “Tanto a che serve?” è il nostro motto. “Si sa che in Italia le cose vanno così”. In un Paese che disprezza l’istruzione dei propri figli (quella vera, profonda, e non la conta dei voti o dei crediti), mi sento un’idiota assoluta nell’indignarmi perché nessuno si indigna. Trionfa il disinteresse e pare “normale” che la futura classe dirigente, i futuri cittadini, i tecnici, i lavoratori del domani che sono e saranno “l’Italia” non vengano istruiti, non ottengano l’attenzione e la considerazione che meritano. L’idea che si è una società, di cosa sia una società. E una società per autoconservarsi e prosperare investe sui propri figli, sul proprio futuro. Non però se alla sua guida vi è un organismo giurassico che protegge i suoi rami secchi, vuote carcasse che bruciano le risorse della comunità nell’allontanare il più possibile la loro morte.

O sono solo io che non capisco.

GT

2 comments:

fabio r. said...

dillo a me! io sono nel calderone dei non di ruolo (una vita da precario) e per raggiungere 1000 euro circa dovrò fare almeno 3 lavori...
ho perso ogni speranza e sto lentamente allontanandomi dall'istuzione, voglio fare il commesso di negozio.

Anonymous said...

Martin Luther King negli anni 60diceva che non bisogna mai smettere di indignarsi.
Francesco Saverio Borrelli nel 2002 diceva "Resistere ! Resistere ! Resistere!".
A MaryStarTettineinmostra si adatta più un'altra citazione di M.L.K. "Nulla al mondo è più pericoloso che un'ignoranza sincera ed una stupidità coscienziosa."
Per te, amica mia, credo sia più indicata questa :"Le nostre vite cominciano a finire il giorno in cui stiamo zitti di fronte alle cose che contano."
Lunga Vita e Prosperità !.

Luca