All’ultimo congresso della British Neuroscience Association un’intera serie di simposi è stata dedicata allo studio degli effetti della cannabis. L’argomento era di particolare interesse anche in virtù dei recenti articoli pubblicati sul Lancet, ai quali hanno fatto eco le sentite ‘scuse’ dell’Independent, in cui si evidenziano alcune proprietà nocive dei fitocannabinoidi (le sostanze attive presenti nella marijuana e nell’hashish). Si afferma, in quegli articoli, che l’uso intensivo di cannabis può portare a condizioni paranoidi ed alterazioni comportamentali. Alla luce di queste nuove scoperte, si è provveduto a riclassificare la cannabis come una droga maggiormente nociva di quanto non si credesse. Va detto però, e questo non è evidente da ciò che si può leggere o ascoltare dai media, che in questi studi sono stati considerati soggetti che a) hanno cominciato a fare uso di cannabis in età molto ‘tenera’ (si parla di persone che hanno iniziato a fumare intorno ai 12-13 anni) e b) hanno iniziato subito con assunzioni massicce.
Mi sono posto da subito in maniera molto critica nei confronti di questi articoli e della maniera con cui sono stati pubblicizzati dai media. Che un ragazzino di 13 anni non debba fumare (o non debba bere o non debba assumere sostanze psicotrope in generale) è qualcosa che avrebbe potuto dire mia nonna senza bisogno di dover scomodare il Lancet! Ed il motivo per questo è abbastanza evidente. A quell’età, il cervello non è ancora completamente maturo, è ancora in formazione e, ovviamente, qualsiasi sostanza che possa interferire con il suo funzionamento, può portare ad un ‘prodotto finale’ potenzialmente diverso da quello che avrebbe dovuto essere normalmente. Questo genere di osservazioni però rimangono sul piano empirico-intuitivo e mancavano, fino ad oggi, di una base più solidamente scientifica. Questa è venuta proprio dal congresso a cui ho partecipato, grazie al lavoro di una ricercatrice irlandese, Veronica Campbell, che ha deciso di studiare gli effetti dei cannabinoidi in maniera differenziale, in animali di laboratorio giovani ed adulti. Facciamo solo un paio di premesse. La morte di neuroni è un meccanismo importantissimo nello sviluppo del cervello e non necessariamente un evento negativo. Alla nascita, ciascuno di noi si ritrova un surplus di neuroni, molti dei quali inutili. Durante lo sviluppo post-natale, queste cellule sono sottoutilizzate e proprio a causa di questo scarso utilizzo vengono selezionate per l’eliminazione. In questo modo, il cervello provvede a plasmare circuiti nervosi ben definiti sui quali si poggiano i nostri tratti caratteriali oltre che, ovviamente, le nostre abilità cognitive e locomotorie. Pertanto, la morte cellulare programmata (apoptosi) è un tratto funzionale caratteristico dell’attività cerebrale dei cervelli giovani mentre invece nell’adulto i programmi apoptotici, seppur sempre presenti, sono silenti, in quanto ormai il cervello è ben formato, i circuiti sono definiti ed attivi, e non c’è più esubero di neuroni. Va detto anche che i principi attivi della cannabis esercitano un effetto inibitore sull’attività nervosa dei neuroni. La cannabis comporta un abbassamento del ‘tono’ neuronale.
Ciò che ha visto la Campbell, somministrando cannabinoidi in ratti al secondo giorno di vita ed in ratti adulti, è che nei ‘cuccioli’ di ratto, i cannabinoidi portano ad un potenziamento indiscriminato dei programmi apoptotici, con conseguente morte di neuroni che altrimenti sarebbero mantenuti per il buon funzionamento dei circuiti cerebrali. Al contrario, nei ratti adulti, i cannabinoidi non hanno esercitato nessun effetto sui programmi apoptotici dei neuroni. In altre parole, abbassando il tono dell’attività nervosa nei cuccioli di ratto, la cannabis inganna il cervello che ‘etichetta’ quei neuroni come ‘inutili’ dal momento che ‘lavorano poco’ e li seleziona per la morte cellulare, i cui programmi sono già di per se molto attivi. Nell’adulto invece, essendo questi programmi già silenti, l’abbassamento del tono di attività nervosa, non indirizza i neuroni verso l’apoptosi, dal momento che questa non è più così attiva. Va da se che la perdita di neuroni in età precoce può portare ad importanti alterazioni nelle normali funzioni ed abilità cognitive dell’adulto, da cui deriva la maggiore incidenza di condizioni di tipo paranoide o schizoide che gli autori dell’articolo comparso sul Lancet hanno registrato tra i soggetti studiati che hanno iniziato a fare uso massiccio di cannabis in età precoce.
Tutto ciò fornisce una solida base scientifica alla nostra conoscenza sugli effetti delle sostanze psicotrope sul cervello, oltre che innalzare mia nonna al rango di ‘scienziato’. Ma ha anche altre implicazioni ben più interessanti. Come ho detto in precedenza, un cervello giovane può risentire maggiormente degli effetti della cannabis ed un cervello giovane è composto da cellule giovani in cui i programmi apoptotici sono ancora attivi. Ma come si misura l’età di una cellula? Un buon indicatore è la sua capacità di dividersi per generare altre cellule. I neuroni, come quasi tutte le cellule del nostro corpo, perdono questa capacità ad uno stadio molto precoce. Ma talvolta, queste cellule possono, ahimè, ‘ringiovanire’ ed iniziare di nuovo a dividersi…è ciò che accade quando una cellula normale subisce una trasformazione ‘neoplastica’. Ovvero quando una cellula normale diventa una cellula tumorale. Ebbene è stato visto, con esperimenti condotti per ora solo ‘in vitro’, che gli stessi programmi apoptotici che la cannabis attiva nei neuroni ‘giovani’ possono essere attivati anche in diverse linee di cellule ‘ringiovanite’, ovvero tumorali. In altre parole, specifici cannabinoidi sono in grado di indurre morte cellulare selettivamente in cellule tumorali ma non in cellule ‘adulte’ e normali, attraverso meccanismi simili a quelli che ho descritto in precedenza. Cellule neoplastiche appartenenti a particolari tipi di leucemia, ad esempio, rientrano in questa categoria.
Molti altri sono stati gli esempi riportati in questi simposi di usi terapeutici della cannabis (ad esempio nei disturbi alimentari).
Rimango a disposizione per chiunque volesse chiarimenti ulteriori e rinnovo il massimo rispetto alla buonanima di mia nonna che, evidentemente, la sapeva lunga!
Mi sono posto da subito in maniera molto critica nei confronti di questi articoli e della maniera con cui sono stati pubblicizzati dai media. Che un ragazzino di 13 anni non debba fumare (o non debba bere o non debba assumere sostanze psicotrope in generale) è qualcosa che avrebbe potuto dire mia nonna senza bisogno di dover scomodare il Lancet! Ed il motivo per questo è abbastanza evidente. A quell’età, il cervello non è ancora completamente maturo, è ancora in formazione e, ovviamente, qualsiasi sostanza che possa interferire con il suo funzionamento, può portare ad un ‘prodotto finale’ potenzialmente diverso da quello che avrebbe dovuto essere normalmente. Questo genere di osservazioni però rimangono sul piano empirico-intuitivo e mancavano, fino ad oggi, di una base più solidamente scientifica. Questa è venuta proprio dal congresso a cui ho partecipato, grazie al lavoro di una ricercatrice irlandese, Veronica Campbell, che ha deciso di studiare gli effetti dei cannabinoidi in maniera differenziale, in animali di laboratorio giovani ed adulti. Facciamo solo un paio di premesse. La morte di neuroni è un meccanismo importantissimo nello sviluppo del cervello e non necessariamente un evento negativo. Alla nascita, ciascuno di noi si ritrova un surplus di neuroni, molti dei quali inutili. Durante lo sviluppo post-natale, queste cellule sono sottoutilizzate e proprio a causa di questo scarso utilizzo vengono selezionate per l’eliminazione. In questo modo, il cervello provvede a plasmare circuiti nervosi ben definiti sui quali si poggiano i nostri tratti caratteriali oltre che, ovviamente, le nostre abilità cognitive e locomotorie. Pertanto, la morte cellulare programmata (apoptosi) è un tratto funzionale caratteristico dell’attività cerebrale dei cervelli giovani mentre invece nell’adulto i programmi apoptotici, seppur sempre presenti, sono silenti, in quanto ormai il cervello è ben formato, i circuiti sono definiti ed attivi, e non c’è più esubero di neuroni. Va detto anche che i principi attivi della cannabis esercitano un effetto inibitore sull’attività nervosa dei neuroni. La cannabis comporta un abbassamento del ‘tono’ neuronale.
Ciò che ha visto la Campbell, somministrando cannabinoidi in ratti al secondo giorno di vita ed in ratti adulti, è che nei ‘cuccioli’ di ratto, i cannabinoidi portano ad un potenziamento indiscriminato dei programmi apoptotici, con conseguente morte di neuroni che altrimenti sarebbero mantenuti per il buon funzionamento dei circuiti cerebrali. Al contrario, nei ratti adulti, i cannabinoidi non hanno esercitato nessun effetto sui programmi apoptotici dei neuroni. In altre parole, abbassando il tono dell’attività nervosa nei cuccioli di ratto, la cannabis inganna il cervello che ‘etichetta’ quei neuroni come ‘inutili’ dal momento che ‘lavorano poco’ e li seleziona per la morte cellulare, i cui programmi sono già di per se molto attivi. Nell’adulto invece, essendo questi programmi già silenti, l’abbassamento del tono di attività nervosa, non indirizza i neuroni verso l’apoptosi, dal momento che questa non è più così attiva. Va da se che la perdita di neuroni in età precoce può portare ad importanti alterazioni nelle normali funzioni ed abilità cognitive dell’adulto, da cui deriva la maggiore incidenza di condizioni di tipo paranoide o schizoide che gli autori dell’articolo comparso sul Lancet hanno registrato tra i soggetti studiati che hanno iniziato a fare uso massiccio di cannabis in età precoce.
Tutto ciò fornisce una solida base scientifica alla nostra conoscenza sugli effetti delle sostanze psicotrope sul cervello, oltre che innalzare mia nonna al rango di ‘scienziato’. Ma ha anche altre implicazioni ben più interessanti. Come ho detto in precedenza, un cervello giovane può risentire maggiormente degli effetti della cannabis ed un cervello giovane è composto da cellule giovani in cui i programmi apoptotici sono ancora attivi. Ma come si misura l’età di una cellula? Un buon indicatore è la sua capacità di dividersi per generare altre cellule. I neuroni, come quasi tutte le cellule del nostro corpo, perdono questa capacità ad uno stadio molto precoce. Ma talvolta, queste cellule possono, ahimè, ‘ringiovanire’ ed iniziare di nuovo a dividersi…è ciò che accade quando una cellula normale subisce una trasformazione ‘neoplastica’. Ovvero quando una cellula normale diventa una cellula tumorale. Ebbene è stato visto, con esperimenti condotti per ora solo ‘in vitro’, che gli stessi programmi apoptotici che la cannabis attiva nei neuroni ‘giovani’ possono essere attivati anche in diverse linee di cellule ‘ringiovanite’, ovvero tumorali. In altre parole, specifici cannabinoidi sono in grado di indurre morte cellulare selettivamente in cellule tumorali ma non in cellule ‘adulte’ e normali, attraverso meccanismi simili a quelli che ho descritto in precedenza. Cellule neoplastiche appartenenti a particolari tipi di leucemia, ad esempio, rientrano in questa categoria.
Molti altri sono stati gli esempi riportati in questi simposi di usi terapeutici della cannabis (ad esempio nei disturbi alimentari).
Rimango a disposizione per chiunque volesse chiarimenti ulteriori e rinnovo il massimo rispetto alla buonanima di mia nonna che, evidentemente, la sapeva lunga!
3 comments:
davvero interessante...
Io credo inoltre che l'abuso minorile di cannabis sia dovuto in grossa parte all'alone "di proibito e di fico" che deriva dal fatto che è illegale..
Assolutamente si. Il primo approccio, come anche per la nicotina o l'alcool o le anfetamine, è sempre all'insegna della trasgressione. Poi, a seconda dei casi, alcuni riescono a trovare nell'uso di cannabis (e di alcool...ma non di nicotina) uno spazio di evasione da una condizione sociale spesso disagiata. L'accoppiata trasgressione-evasione è purtroppo micidiale ed è la vera causa di quell'escalation che porta dalle droghe leggere a quelle pesanti. Nessuna relazione di causa-effetto è mai stata osservata tra l'uso di cannabis ed il conseguente uso di eroina ad esempio. Se però si considera il contesto sociale in cui queste sostanze vengono incontrate allora le cose cambiano. Il che ovviamente svincola la marijuana da quella presunta responsabilità nell'indurre all'uso di droghe pesanti. In altre parole, la relazione tra cannabis e droghe pesanti è la stessa osservata per la nicotina o l'alcool o addirittura la caffeina. Non è la sostanza che fa la differenza, ma il disagio sociale.
in effetti riguardo alla cannabis si è soliti pensare che sia una droga innocua...
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