Sunday, March 28, 2010

Conoscere per provvedere (Cesare Zavattini per Jafar Panahi)

Di Elena Catozzi

La prima cosa che apprendo con stupore è che il nostro Paese è tra i primissimi partners economici dell’Iran. E che qualche anno fa la BNL sganciò fior di miliardi destinati a Saddam Hussein e alla sua compravendita di armi.
Altra cosa, che praticamente nessun governo di quelli che chiamiamo 'paesi occidentali' ha nella sua agenda tra i compiti prioritari, la cura e il rispetto dei diritti umani. Figuriamoci se può occuparsi di quelli violati in altri paesi, per di più 'islamici'.
Così come non sapevo che a capo della Commissione Onu per i Diritti Umani, ossia uno dei più importanti organi dell’ Organizzazione delle Nazioni Unite, vi fosse una donna libica, nominata a questa carica in base a una procedura democratica, proprio quella che nel suo Paese non esiste, essendo il suo Paese uno degli ultimi luoghi al mondo dove non si esercita la democrazia. E dove alberghi qualche straccio di diritto.
Apprendo con minuziosi dettagli che la Cina e la Russia continuano imperterrite a sostenere l’Iran e il suo regime e a commerciare armi, a rifornirlo di tutto il necessario, e a fare orecchie da mercante, mistificando i fattacci e tirandosi però fuori dalle beghe a loro uso e consumo. Della serie “non parlarmi non ti sento”.
Non sapevo che l’Iran fosse talmente ricco di suo grazie all’esportazione dell'oro nero, giustificando così, tra le altre cose, la sua totale indifferenza verso il suo popolo da cui non ha neanche bisogno di ricevere imposte tanto può contare sulla sua intrinseca ricchezza, e quindi non dipende dalle tasse dei suoi cittadini che finiscono per non avere alcun tipo di ruolo sociale, nè possono aspirare ad un potere civile nella loro società, essendo essa un surplus da sopprimere e reprimere.
Ho anche appreso dalla viva voce di chi quei luoghi li ha visitati, che fa abbastanza ridere l'ipotesi che l'America non sapesse niente della costruzione o comunque della presenza del carcere di Evin e della corsa agli armamenti nucleari. Figurarsi. Così come, parlando con i pochi sopravvissuti da quel carcere infernale, si apprende che effettivamente la situazione fosse simile anche prima che salisse al governo Ahmadinejad dal momento che in Iran manca la democrazia da 105 anni e che “in qualsiasi paese dove si viva con un forte potere religioso (…) è pressocchè automatico che vi sia un regime e una dittatura repressiva”. E qui è scattato l’applauso.
Non sapevo che tutti i prigionieri politici che l’Iran nega di avere, sono considerati in realtà prigionieri 'religiosi' nel senso che la loro colpa, udite udite, è quella di empietà contro il loro dio. Quello in nome del quale vengono torturati e uccisi ogni giorno sebbene le loro proteste siano di ben altro tenore.“Tutti si svegliano ogni giorno sapendo che qualcuno può bussare da un momento all’ altro alla loro porta e portarli via.” “L’Iran sta diventando la più grande prigione per tutti gli iraniani”. E quel carcere di Evin che non suona roboante come Guantanamo.
Apprendo anche che qualche tempo fa, neanche così lontano, il responsabile capo della cinematografia iraniana che apparteneva alle più alte gerarchie religiose, era un non vedente. Non c’è bisogno di aggiungere altro.
La lapidazione poi per chi si macchia della terribile colpa di avere rapporti sessuali fuori dal matrimonio quasi non fa più notizia, ancor di più che alcune donne vengono arrestate e condannate per tale empietà anche quando il fatto non sussiste. Processi sommari alle intenzioni, esecuzione delle idee prima ancora che delle azioni. E comunque basta un abito sbagliato, un colore non gradito.
Vengo a sapere poi che attualmente la Turchia sta negando i permessi ai rifugiati che riescono a scappare. E che quei pochi fortunati che riescono a fuggire ed 'emigrare in paesi 'occidentali' vengono praticamente abbandonati a loro stessi. Come se la loro agonia non dovesse mai finire nemmeno fuori da quell’inferno.
E anche se siamo nell’era di facebook e degli appelli e della campagne mediatiche, ci viene raccontato che quando il primo ministro ungherese fu assassinato e non si trovava il corpo, si venne a capo della cosa esattamente tartassando e intasando il centralino dell’ ambasciata inglese (informata sui fatti), che alla fine, estenuata dalle tante telefonate, cedette. Così come pare che recapitare continuamente lettere infuocate per richiedere la scarcerazione di prigionieri alle ambasciate competenti, dia più fastidio e smuova più persone che un ordigno collocato da qualche parte.
Insomma, come si fa a vivere ignorando tutto ciò? E se un quarto delle esecuzioni capitali dell'intero pianeta terra vengono perpetrate in Iran, beh, tappatevi le orecchie, non leggete se vi dà noia, ma la verità è che è anche un po’ colpa nostra. Circa tre ore di dibattito oggi l'hanno ampiamente dimostrato. E se non facciamo niente per porre continuamente all’attenzione fatti così gravi e non proviamo almeno solo ad immaginare un modo per contrastarli, ce ne rendiamo ulteriormente complici più di quanto non lo siamo già, accanto ai nostri governi indifferenti, agli Stati, alle Organizzazioni Internazionali e all’umanità intera.
Chi ama il Cinema poi, dovrebbe avere una spinta maggiore ad abbracciare la causa. E sì.
Perché Jafar Panahi non è solo un autore di un prodotto finito che noi amiamo e che si chiama 'film', ma è anzitutto un uomo che usa ciò che può e che più gli viene meglio affinchè noi possiamo stare qui a parlare di queste cose. Anzi, se niente evolve e nulla cambia è anche perché, per dirla sempre con un certo Za che utilizzò quest’espressione in analoghi contesti, “il cinema non ci ha aiutati”.
E se Jafar Panahi non vuole pagare la cauzione che probabilmente permetterebbe a lui e alla sua famiglia di uscire, è proprio per solidarietà con gli innumerevoli oppositori di ogni sesso, credo ed estrazione che popolano i suoi film. Quei film con cui ha provato a riscattarli.
E noi che ci professiamo tanto amanti di questa meravigliosa pellicola che gira, abbiamo ancor di più il dovere di parlarne, di creare iniziative concrete di sensibilizzazione a un fatto del genere, perché il Cinema viene dall’Uomo, dal suo cuore, dalla sua testa, dalla sua interiorità e non può prescindere da tutto questo perchè semplicemente non potrebbe esistere.
E’ per questo che ciò che è avvenuto questo pomeriggio alla Casa del Cinema è molto importante, e conta poco in quanti fossimo effettivamente.
Mi sento davvero di ringraziare tutti coloro che ci hanno ricordato ancora una volta quanto soffre e spera il popolo iraniano. E quanto vorrebbe con tutta l’anima cambiare le cose, ma nonostante l’ingente sacrificio a cui si sottopone quotidianamente, non ci riesce ancora.
Lezioni troppo illustri e nobili per noi che invece potremmo ma non vogliamo.
E così l’ Iran continua ad essere un 'brutto posto' lontano anni luce da noi e sapientemente tenuto a debita distanza di opinione.
Ma figuriamoci se noi possiamo riuscire a comprendere l’inestimabile valore di poter esercitare un’opinione.
Eppure ne avremmo così maledettamente bisogno.

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