Il nuovo fronte si è aperto. L’aviazione USA bombarda la Somalia, a caccia di terroristi, ammazza 70 civili inermi e ‘forse’ 10-15 appartenenti alle Corti islamiche somale. Poi partono le truppe di terra a rastrellare tra i cadaveri per vedere se, tante volte, fossero tanto fortunati da trovarci Bin Laden o chissà chi. Diciamocelo, la guerra in Iraq ci aveva un pò stufato tutti. Sentivamo il bisogno di qualcosa di nuovo. Anche per non prestare troppa attenzione alla decisione presa da George ‘Tex Willer’ Bush di mandare 20.000 nuove unità nel paese del golfo, ed alle pressioni che questo presidente sta facendo sul nuovo Consiglio democratico allo scopo di ottenere i finanziamenti. Che per altro sono praticamente assicurati, dal momento che la decisione relativa all’invio di truppe spetta comunque al Presidente e di certo il Consiglio non manderebbe 20.000 americani al fronte senza armi o equipaggiamenti.
Anno nuovo guerra nuova, ma sempre secondo lo stesso stile. Sempre secondo i dettami di una politica americana che ormai non ha più nulla di realmente politico. Niente filosofia, niente etica, niente storia. Questi pilastri sono stati abbattuti da tempo. Rimane l’immagine. La retorica della bandiera e del presidente che piange ai funerali del militare morto mentre tentava di salvare un commilitone dal fuoco nemico, dimentico del fatto che quel militare al fronte ce l’ha mandato lui, in caccia di improbabili armi di distruzione di massa, che esistono solo se tali possono essere considerate le fionde ed i sassi. Che importanza può avere un dettaglio del genere? È emozionante da vedere, fa battere il cuore del patriota, commuove. Pertanto funziona.
La retorica a stelle e strisce. Solo questo rimane a Bush per assicurarsi un minimo di sostegno popolare, per poter giustificare milioni di dollari buttati in questo nuovo Vietnam, come lo definisce il senatore democratico Edward. Milioni di dollari e migliaia di morti, da entrambe le parti, quasi a non voler perdere la faccia davanti al resto del mondo più di quanto già non sia successo.
E intanto, come ci racconta Moni Ovadia nel suo articolo su Peacereporter, si infittisce la nebbia e cominciano a spegnersi alcuni dei fari che ci illuminavano la via del buonsenso e della storia. Anche Benny Morris, lo storico israeliano che per primo ha raccontato la vera storia del sionismo ‘dall’interno’, il professore che in maniera totalmente asettica ed imparziale ha descritto i crimini, le trame, gli attentati del conflitto israelo-palestinese, ci lascia. Abbandona quell’analisi illuminata di cui si era fatto portatore per dedicarsi alla più semplice e più sbrigativa arte del bombardamento e dello sterminio preventivo, lasciandoci tutti un po’ più soli ed un po’ più antisemiti, nostro malgrado. Riposi in pace.
L’Orologio dell’Apocalisse, nel frattempo, ha ripreso ad avanzare e segna sette minuti alla mezzanotte dell’Armageddon nucleare.
Fatemi il favore, tante volte stessi dormendo per quell’ora, non svegliatemi. Ultimamente faccio dei gran bei sogni.
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