Ieri sera, durante il TG1 delle 20, dopo aver presentato il servizio sulla ragazza americana stuprata a Roma da un cittadino francese, Maria Luisa Busi ha interrotto il normale svolgimento del telegiornale per commentare in prima persona l'accaduto. Ha pacatamente bacchettato il ministro Amato, secondo il quale le statistiche non evidenziano una 'emergenza stupri', e la comunità europea che propone un risarcimento in denaro da parte dei governi verso le vittime di violenza sessuale, affermando che il denaro non basta certo a risarcire di un crimine così 'odioso', e che sarebbe auspicabile che anche un singolo caso di stupro venisse trattato come 'emergenza' da una società civile, a dispetto delle statistiche. Lo ha fatto da donna prima ancora che da giornalista. Ha affermato che il vero problema è la mancanza di una denuncia sociale dello stupro, ovvero il prevalere di quella cultura che di fronte alla donna violentata, finisce col dubitare della genuinità del suo dolore, chiedendosi se per caso la stessa vittima non abbia delle responsabilità in quello che è successo. Concordo che questo atteggiamento rappresenta una seconda violenza che si aggiunge alla prima, ma lo ritengo anche inevitabile. Questo genere di scetticismo la gente non lo ha sviluppato per caso. Il malcostume di ragazzine che si concedono per un posto da velina-schedina-cretina ecc. è ben noto, così come quello di donne o ragazze mediocri che per ottenere un minimo di visibilità, prima si infilano nel letto del famoso-potente di turno e poi ne denunciano la violenza, come successe nei casi di Tyson o di Clinton. Perciò direi che la mancanza di una 'denuncia sociale' da parte della gente non dovrebbe essere intesa come una carenza disdicevole a cui porre rimedio, ma forse come un meccanismo di autodifesa. Lo stupro è un crimine orribile, ma anche una denuncia per stupro, se sei innocente, è infamante.
Comunque grande Maria Luisa!
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