Monday, March 26, 2007

Il deserto ed il telecomando


È avvilente. Di più, è frustrante. È frustrante quello che si legge sul sito di Peacereporter ed ancor di più quello che non si legge sui giornali italiani. Durante la prigionia di Mastrogiacomo, le prime pagine dei giornali erano sempre ‘sul pezzo’ come si dice. E giustamente intendiamoci. Ma adesso che il nostro compaesano è a casa, adesso non ci sentiamo più tanto punti nel vivo se una delle persone che più di altri ha contribuito alla sua liberazione, Rahmatullah Hanefi, è sparito ormai da giorni nelle carceri di Lashkargah, dove i servizi afgani, a detta di quanti in quel carcere lavorano, lo stanno torturando ‘coi cavi elettrici’…né ce ne importa più di tanto se anche dell’autista di Mastrogiacomo, Adjmal Nashkbandi, non si sa più niente. Lo stesso Mastrogiacomo disse di averlo visto liberato insieme a lui, ma diretto verso un diverso veicolo della milizia afgana. Oggi, questo mullah Dadullah dice di averlo ancora in pugno, mentre sembra più probabile, anche stando a quanto rivelano i gruppi ROS dei Carabinieri che operano a Kabul, che anche lui sia in mano ai servizi. E non se ne parla quasi per niente. Nemmeno su un giornale come l’Unità, dove la prima pagina è al momento troppo impegnata con le follie berlusconiane sul rifinanziamento della missione o con vallettopoli. Al tiggì uno di stasera, solo per una manciata di secondi, in chiusura di giornale, ho ascoltato qualcosa a questo riguardo. Non un appello, non la voce di Strada. Giusto due parole per ribadire la prigionia del manager di Emergency. Non ci si domanda come sia possibile che un mediatore che col suo operato è riuscito a salvare una vita umana, venga imprigionato e torturato. Non ci si domanda come sia possibile che un semplice autista venga sballottato da una prigione ad un'altra con la sola colpa di essere stato sequestrato nel contesto di una guerra assurda. Tutto è passato in secondo piano. Abbiamo evitato di dover vedere le immagini di uno dei nostri decapitato davanti alle telecamere, del resto chissenefrega. È frustrante perché il nostro intervento non riesce ad andare oltre al commento passivo su qualche blog, mentre invece piacerebbe, almeno a me, di andare a prenderlo per il bavero quel Prodi lì e dirgli ‘adesso perché non riprendi a telefonare in continuazione al tuo amico Karzai?’. Alla fine dei conti due afgani contano meno del nostro italiano. E sinceramente non riesco a non pensare che in qualche modo si tenti di dimostrare al mondo che la trattativa pacifica non sempre risparmia vite. Non sempre è migliore dell’interventismo armato. Temo in questo senso per la sorte dell’autista. Nessuno mi toglie dalla mente infatti che se quest’uomo si trovasse davvero adesso di nuovo in mano ai sequestratori, è perché i servizi afgani glielo hanno riconsegnato davanti alla porta di casa, per metterci in imbarazzo. Per mettere in imbarazzo l’operato del nostro Paese. D’altro canto non mi stupirebbe di dover sentire, nei prossimi giorni, che Rahmatullah Hanefi è stato arrestato in quanto in combutta con i talebani stessi. Per essere in realtà uno di loro. Lo stesso Strada dice, sempre su Peacereporter (i giornali ‘canonici’ si tengono alla larga da affermazioni del genere), che i servizi afgani affermano che prove in questo senso, per quanto al momento assenti, possono essere ‘trovate’ (leggasi ‘fabbricate’) con facilità. Ma noi facciamo spallucce davanti a tutto questo. Ci sono le celebrazioni per il 50° dei trattati di Roma, c’è la Nina Moric da Woodcock…altro che due afgani in galera.
Feriscono le parole rilasciate da Gino Strada al termine dell’intervista con il giornalista di Peacereporter: “Per adesso quel che rimane, oltre alla gioia per la liberazione di Daniele, è l'amarezza per la morte del suo autista, la grande preoccupazione per Rahmat e Adjmal Nashkbandi, entrambi scomparsi. E l'amarezza nel constatare che non per noi, ma per altri in Italia, la sorte di due afgani, uno dei quali indispensabile alla liberazione di Daniele, non è poi così importante”. Feriscono perché sono vere! Feriscono perché sottolineano come la nostra felicità per la liberazione di Mastrogiacomo non sia dettata dall’aver evitato l’omicidio di un uomo, ma dal fatto che quell’uomo, in giacca e cravatta, un giornalista, così simile a noi, è potuto ritornare a sedere nel salotto di casa con la moglie, a cenare con la famiglia davanti alla televisione col telecomando a portata di mano, a prendere l’autobus o la macchina per andare a lavoro, a festeggiare la Pasqua con uova di cioccolato o dolci a forma di colomba. A digitare su un computer i suoi articoli, a seguire il calcio e la cronaca e via dicendo. Non da altro. Gli altri due, gli afgani, tutte queste cose non ce l’hanno. Stanno nel deserto. Non ci somigliano per niente!!! Perché preoccuparsi per loro?

2 comments:

Lawrence d'Arabia said...

rigurgiti nazionalisti che di patriottico hanno ben poco. La cosa grave è che sono alimentati (inconsciamente spero) dalle maggiori testate nazionali.

Della serie mi importa solo di ciò che è italiano

Lesandro said...

più che nazionalisti io li definirei altamente ipocriti, ammesso che esistano differenze tra i due termini. Ancora oggi sui giornali tutta la faccenda viene bellamente ignorata.