Friday, October 12, 2007

Risposta da un cervello in fuga

Caro Massimo,
mi limito ad aggiungere al tuo sfogo una precisazione. Tempo fa ho avuto il piacere di conoscere il Senior Editor della rivista Science. Era qui in UK per un giro di conferenze su come fare per promuovere la diffusione della scienza tra la gente comune. Lui sa benissimo che il sostentamento della ricerca nei paesi occidentali, e soprattutto negli Stati Uniti, deriva in gran parte dalle donazioni della gente, che mantengono attive le fondazioni che, infine, finanziano i singoli laboratori. Pertanto la diffusione della conoscenza scientifica, in termini comprensibili anche dal cosiddetto 'uomo della strada', è vitale, soprattutto per quelle discipline scientifiche ed a quei laboratori il cui lavoro non porta ad un prodotto direttamente spendibile sul mercato. Parlavo con lui e mi sono ritrovato a pensare agli infiniti anni luce di distanza tra quelle idee ed il nostro paese, dove per giorni e giorni si è andato sbandierando che un italiano avrebbe vinto il Nobel per le sue ricerche sulle staminali. Mentre invece non è per niente vero. Vero è che il 99% della letteratura scientifica è in inglese. Il che facilita, con ogni probabilità, la diffusione di nozioni scientifiche nei paesi anglosassoni. Ma questo non vieterebbe a noi di promuovere pubblicazioni in italiano però. Da che ricordo io, l'unica rivista scientifica degna di questo nome che viene attualmente venduta in Italia è 'Le Scienze', ovvero la traduzione in italiano del 'Scientific American'. Ed il perché, temo, è evidente. Non conosco la tiratura di quella rivista, ma temo sia decisamente inferiore a quella della Gazzetta dello Sport. Il che, dopotutto, non sorprende neanche. La Scienza sa essere anche noiosa per chi non è animato dalla curiosità della ricerca. Ma il punto è proprio questo. È questo genere di curiosità che manca. E manca perché la gente, gli italiani, vivono la ricerca scientifica come un qualcosa di distante, che non li riguarda. Al massimo, se ne interessano per tirare addosso a questo o quel ricercatore quando si riscoprono tutti improvvisamente animalisti vegani. In altri paesi, incluso il Regno Unito, non è così. La ricerca scientifica, se non da tutti senz’altro da molti, è vissuta come patrimonio comune. Come distintivo di civiltà e progresso di un paese. E’ coccolata dal Governo e dalle amministrazioni, e mai messa in secondo piano. E non è che in questi paesi altri problemi non esistano. La disoccupazione, la sanità, le pensioni, sono problemi anche qui.

Dalla mia permanenza in questo posto ho maturato un’unica sola grande consapevolezza. E cioè quella di non aver incontrato alieni o geni strabilianti, che mantengono la ricerca attiva grazie alle proprie doti sovrumane. Semplicemente ho incontrato persone a cui viene data quotidianamente la possibilità di lavorare in un ambiente sereno e degno. Con un minimo di garanzie. Non ci vorrebbe poi molto a fare lo stesso anche nel nostro Paese. Basterebbe un minimo di volontà comune.

3 comments:

Anonymous said...

Carissimo Alessandro,

ovviamente concordo con te. E la consapevolezza che, insomma, non é che in Italia siano stupidi ed all'estero ganzi ma, come dici "persone a cui viene data quotidianamente la possibilitá di lavorare in un ambiente sereno e degno. Con un minimo di garanzie".

Non sembrerebbe molto, anzi dovrebbe essere normale in ogni settore. Sconcertante é il realizzare che non ci sono vere scusanti.

La ricerca scientifica é un investimento sul futuro di una nazione. Forse da noi il "futuro" si limita allo scadere delle prossime elezioni. Troppo ravvicinato per investire su qualcosa a medio o lungo termine.

Anonymous said...

mi sono drammaticamente riconosciuta nel tuo post: sono italiana, non so nulla di ricerca, non me ne interesso e invece faccio un lavoro per cui dovrei avere almeno curiosità nei confronti dei risultati della scienza. Al di là del flagellarmi, mi chiedo: come si fa a cambiare? non solo in termini economici e di investimenti (lì è la politica che deve intervenire) ma culturali, come tu giustamente sottolinei. Da che parte si comincia?

Lesandro said...

Cara Iko, di possibilità ne esistono tante. La rete, ad esempio, è un ottimo mezzo per cominciare. Per iniziare ad approfondire il tuo campo di interesse, quale che sia. Mi sento però di consigliarti anche un altro approccio. Complementare e, purtroppo, totalmente ignorato dai più. Noi. Ci sono persone che di un determinato ambito scientifico o tecnologico o anche umanistico, hanno fatto una ragione di vita. Consultale. Chiedi. Esistono persone maleducate anche in ambito accademico, per carità. E qualcuno potrebbe non risponderti. Ma sinceramente non conosco nessuno, nel mio campo, a cui non farebbe piacere sentirsi interrogato sul proprio lavoro e che non sarebbe ben contento di consigliare un libro, un articolo o anche solo di spiegare in termini semplici una nozione specifica, quale che sia.
Il resto lo fa il tuo interesse e la tua curiosità. Un professore universitario o un ricercatore sono persone a cui è giusto andare a rompere le scatole insomma. Anche se non si è 'studenti' nel senso stretto del termine. Comunque, ci tengo a specificare anche un'altra cosa. Dal mio post si potrebbe pensare che tento di riversare la 'colpa' di questa mancanza di informazione, esclusivamente sulla gente esterna alla ricerca. In realtà, una grossa parte di responsabilità in questo senso è proprio del mondo accademico. Nostra, in altre parole. Ti faccio un esempio. Qui dove sono io, ogni anno vengono organizzati degli 'open day' in cui i laboratori si aprono al pubblico ed ogni ricercatore può esporre, per mezzo di posters, il proprio lavoro alle persone. In quante università italiane succede la stessa cosa? Pochissime temo. Quindi come vedi, l'incomunicabilità in questo caso è a doppio senso. Anche noi non vi aiutiamo come dovremmo.