Era il 24 luglio del 2005, lo riporto tale e quale l'ho scritto allora.
Mi risveglio sulla spiaggia, in mezzo a pinne, maschera, secchielli, e da solo. Intorno a me ci sono pochi bagnanti che mi guardano totalmente indifferenti, anche se scorgo un certo terrore negli occhi di alcuni. Non ci provo nemmeno a chiedere aiuto, guardo verso il punto in cui stavamo giocando e vedo un giubbotto giallo che galleggia sul pelo dell’acqua. Rovisto tra la sabbia, trovo due pinne della stessa misura, me le infilo e con maschera e boccale vado a scandagliare il fondale che adesso e decisamente quello di un lago. Mentre sono nell’acqua mi rigiro per un istante verso terra e vedo che sulla spiaggia c’è…Chiara. Non credo di essermela mai sognata prima, eppure quando stavo a Milano mi aveva mandato parecchio fuori di testa (salvo poi rifilarmi il canonico due di picche). Ritorno verso riva dopo aver recuperato il salvagente, mi avvicino a lei che sta mangiando un panino e facendo delle parole crociate e le domando incredulo "Chiara?". Lei alza lo sguardo e masticando mi fa cenno di no con la testa, e poi, sempre con la testa indica qualcuno dietro di se. C’è un’altra Chiara! Io penso "mi ricordo che avesse una sorella, ma non mi sembravano gemelle". Mi avvicino alla Chiara ‘bis’ e ripeto "Chiara?!", lei mi guarda e spalanca gli occhi "Ale!!!". Le chiedo cosa ci faccia li, e lei mi risponde che è al suo ultimo giorno di vacanza e che sta per partire con la sorella. "Noi non stiamo su questa spiaggia", mi dice, "siamo venute qui prima di partire. Noi stiamo sull’isola". Ed indica una fila di colline che avrei giurato essere il limite di un golfo, ricoperte di alberi ingialliti come fosse autunno, ma che invece si rivelano essere una grande isola a pochi chilometri dalla nostra spiaggia, uno o due al massimo. "Vieni, ti faccio vedere" mi dice. E rientriamo in acqua nuotando verso questa isola, ma rimanendo sempre vicini alla costa. Solo che, una volta entrati in acqua, non c’è più Chiara a nuotare davanti a me, ma Maria Luisa! Continuiamo a nuotare e piano piano la costa di boschi e sabbia viene rimpiazzata da un grande edificio. È come se qualcuno avesse portato l’Addenbrooke’s (il policlinico universitario di Cambridge, dove lavoro) sulla spiaggia, ma è una versione un po’ strana dell’ospedale. Sembra una specie di astronave incredibilmente grande, mezza immersa nell’acqua. Nuotiamo vicino alla parete dell’astronave ed io, sempre armato di maschera e boccaglio, guardo sottacqua lunghe file di tubi che corrono lungo la parete e scompaiono in profondità. Arriviamo fino ad una specie di corridoio che si apre nella parete, un canale, e ci entriamo dentro. L’immagine è decisamente quella che si vede dai caccia ribelli quando si infilano della la Morte Nera di Star Wars! Facciamo pochi metri dentro questo canale ed ecco che le strane costruzioni di Lucas diventano improvvisamente tante roulotte e camper parcheggiati vicinissimi le une agli altri. Siamo in un campeggio adesso ed io cammino sempre dietro a Maria Luisa. Arriviamo fino ad una piazzola dove c’è parcheggiato un fuoristrada. È aperto e ci sono sparse davanti tutte quelle cose che rimangono per ultime quando si preparano i bagagli per ritornare da una vacanza al mare. Materassini, ombrellone, costumi. Maria Luisa fruga dentro il fuoristrada, ne tira fuori un piccolo canotto gonfiato e me lo lancia, come se fosse qualcosa che, secondo lei, potrebbe servirmi. Io lo prendo al volo, lo guardo e ripenso a Kim e Jake scomparsi. Apro la valvola e sgonfio il canotto. Lei mi chiede il perché del mio gesto ed io, mentre ripiego la plastica ormai sgonfia, le dico "Non sono utili come sembrano questi affari", facendo mentalmente un parallelo tra quel piccolo canotto ed i giubbotti salvagente che indossavano Kim e Jake.
Alzo lo sguardo verso Maria Luisa e invece trovo nuovamente Chiara che mi guarda con aria interrogativa. “Non riescono a stare ferme!" penso, come se la cosa fosse normale. Solo che stavolta mi insospettisco anche, come se avessi capito che sta succedendo qualcosa che sfugge alla mia comprensione. Dentro di me mi domando se sia veramente Chiara quella che mi trovo di fronte o non qualche strana forma di demonio che ha deciso di divertirsi alle mie spalle. Lei mi dice qualcosa, non ricordo cosa, ma lo dice in inglese, un inglese incomprensibile, e lo dice con atteggiamento seducente, sdraiandosi al mio fianco sulla piazzola del campeggio. Io so che Chiara non parlerebbe mai in inglese a meno che non sia assolutamente indispensabile. Lei odia dover parlare in inglese. Tendo la trappola e le chiedo "Are you still working with Riccardo?" Domanda retorica, certo che si, è il suo capo. Lei mi guarda e dice "Who? Riccardo…" ma si ferma, guardandomi negli occhi come se stesse cercando di strapparmi il cognome dalla mente, cosa che le riesce apparentemente, visto che conclude la sua domanda pronunciando quel cognome, ma tutto storpiato, come se lo avesse 'letto' male. Io faccio finta che quello sia il cognome giusto, con buona pace di Riccardo, e lascio che si sdrai accanto a me mentre dice che si, ancora ci lavora con lui.
Si sdraia di fianco ma subito dopo mi si sdraia sopra come chi ha intenzioni ‘serie’. “Decisamente questa non è Chiara” penso con un po’ d’autoironia. Adesso ha le unghie delle mani laccate di nero. Avvicina il suo viso al mio per baciarmi ma prima che le nostre labbra si tocchino io le afferro la testa tra le mani e la spingo lontano da me esclamando "Allora, me lo dici chi cazzo sei o ti stacco la testa dal collo!!!???". Rimetto a fuoco la vista sul suo viso giusto in tempo per vederlo trasformarsi in qualcosa di non umano, qualcosa a metà tra una capra ed un coniglio, ma continuamente mutevole. Quando apre bocca per parlare ha le fattezze di una specie di Buddha pelato con la barba ispida che mi graffia i palmi delle mani. "Questo non è posto per te! Te ne devi andare!" mi dice sghignazzando. È ancora sopra di me, con la testa intrappolata nella morsa delle mie mani. "Io non me ne vado senza Kim e Jake! Che fine gli avete fatto fare? Parla nano di merda (in effetti adesso è molto basso)!!!" "Sono morti!" esclama lui tentando di liberarsi. "Morti un cazzo!!! Dimmi dove sono!" insisto io. E cominciamo a lottare, in mezzo a questa piazzola di campeggio che improvvisamente si trasforma in un promontorio altissimo a picco sul mare. Lottando, arriviamo al margine del precipizio. Mi rotolo in terra, faccio una capriola su me stesso e, puntandogli il ginocchio nel ventre, lo scaravento di sotto, salvo poi trattenerlo per una mano. Mentre sono li, mezzo dentro e mezzo fuori, con il braccio penzoloni per reggere il mostriciattolo, vedo che un duecento metri più in basso, ci sono le lancette di un orologio enorme piantate nella parete di roccia ed ancora più sotto, a livello dell’acqua, una piccola terrazza naturale dove alcuni bagnanti stanno prendendo il sole. Ci vedono ed alzano tutti lo guardo verso di noi impauriti. Sono tutti giapponesi, hanno tutti gli occhi a mandorla. Uno di loro è in piedi su una delle lancette che punta sulle tre.
Il mostriciattolo non pesa tanto, riesco a tenerlo e gli dico "Ultima possibilità! Dimmi dove sono i miei amici". Lui risponde "Il mio Padrone li ha scelti per se, dimenticali!" Capisco tutto all’improvviso. Il tipo biondo, quello che abbracciava la vita di Kim nell’acqua. È lui questo Padrone di cui parla il mostro, che adesso somiglia curiosamente a Sandeep, il ragazzo indiano che lavora alla reception del laboratorio. Chiudo gli occhi e cerco di ricordarne la faccia ma senza successo, mentre il servo adesso si lamenta con voce quasi umana implorandomi di salvargli la vita, apparentemente supportato dai cori dei giapponesi impietositi. Io gli dico "Dimmi dove sta questo tuo Padrone di merda che poi a lui ci penso io!!!" "I desideri del Padrone non si discutono!" risponde lui con faccia seria. Lascio la presa.
Adesso sono decisamente sconvolto e penso a Kim e Jake nelle grinfie di questo figlio di puttana che si fa chiamare Padrone. Non riconosco più il posto e devo trovare il modo di uscirne. Chiudo gli occhi per ricordare la strada che ho fatto per arrivarci. Ricordo Maria Luisa che entra dentro un palazzo che sembra un edificio di uffici pubblici, vestita con un abito estivo e lungo. Mi sembra che sia quella la strada fatta all’andata e mi dirigo verso l’androne di questo palazzo (ma non stavo in un campeggio? E non c’ero arrivato per tutt’altra via?). Prima di raggiungere la porta vedo in uno dei corridoi un uomo seduto in terra. Ha davanti un panno bianco steso sul pavimento e sul panno ci sono strane cianfrusaglie. È una specie di vù cumprà. È molto vecchio. Mi avvicino e lui mi dice "Com’è che ti chiami tu? Helmut?" e mi allunga una di quelle tavolette di legno con sopra scritto il nome e tutte le notizie ad esso relative, tipo l’origine, il significato ecc. Dentro di me rido e penso “Ora voglio proprio vedere che minchia significa Helmut!”. Poi succede qualcosa di strano (non che finora...). Alzo gli occhi sul vecchio e faccio per camminare oltre, ma vedo ‘me stesso’ che si allontana da me. Io rimango fermo, dal momento che la visuale non cambia e posso vedere ‘me stesso’ che si avvicina al vecchio, gli gira dietro e si siede accanto a lui. L’altro ‘me’ indica un chilum molto grosso posato sul panno che fa da bancarella, e ne chiede il prezzo. Il vecchio risponde "Due dollari". Poi il mio alter ego dice ammiccando "Ma è vuoto." "Allora sono quaranta dollari" risponde il vecchio. Alessandro sorride, mi guarda (!) e dice "Dagli questi quaranta dollari". Io mi rispondo (!!) "Ma come, prima due e poi quaranta?" e lui mi rimbecca "E dagli sti quaranta dollari, che lui ha capito!!!" a dire che per quaranta dollari ce lo avrebbe dato pieno. Ovvio. Ho fatto una figura da idiota con me stesso! Io tiro fuori cento dollari in pezzi da venti dalla tasca, li divido nelle due mani in quaranta e sessanta. Porgo al vecchio i quaranta ma lui afferra le banconote nell’altra mano. Io le trattengo e gli dico che i suoi soldi sono nell’altra mano. Lui tiene gli occhi bassi. Poi li alza piano verso di me. E sorride. Ma in maniera cattiva, con un'espressione perfida, spietata. Il mio alter ego sparisce. Ancora una volta capisco. È lui il Padrone…